le terre e le carte
ritabagnoli
-jlongab
atir

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cottura a cielo aperto.JPG
il melograno collage su carta 12x17 01-2010.JPG
Chiamatiper nome

 Laperplessità ti prende. Per opere non solo diverse come intenzioni e tematicheesecutive, ma per la diversità funzionale, per quel farsi elementi arredanti. Eallora ti sembra che la vera questione che esse sollevano sia lo spazio nellequali vanno collocate. Uno style-life che può ed è un livello imposto edacquisito, tanto da essere ovvio. E che consuma la felicità e l’intelligenza dichi ama il pout-pourri di elementi eterogenei uniti dall’idea di universalitàculturale alla quale pensano e vogliono appartenere.Ma con RitaBagnoli la questione è un po’ diversa. E male fanno certi suoi estimatori aincellofanarla nell’ambito di questa eterea, impalpabile soddisfazione. Bisognerebbealmeno ritrovarsi nei versi di “Annuncio a Bibele”di Mario Cancelli:“ Non so-dice il giovane con alloro- forse qualcun altro/andava a tentoni/il mondo miappariva/appariva a tutti/così vecchio/ricominciare/ma solo un bambino puòricominciare/perché un bambino può tutto”. Perché il succedersi di manufatti eoggetti naturali sono una commistione che dice almeno uno spazio intenzionale euna direzione nella quale muovere l’abitabile, come le installazioni vorrebberoesemplificare. Sta , questa commistione, per dire il di più che all’arte non èconsentito e pure necessita: quell’ “Acheropita”, marchio di fabbrica dellanatura. ( che non ci stanchiamo mai di ammirare). E allora si vorrebberiprenderne il filo, magari in forme culturalmente sui generis. In opere che,pure, hanno valore in se stesse , che anche autonomamente hanno un perché,magari traslato nell’ampiezza con la quale se la intendono con la vita. Ed èforse questo il primo dato spaziale: un aspetto ecologico, che non rinchiude lanatura nel suo mito conservativo. ( Che è poi il modo più facile per stabilirnei confini e , dunque, impadronirsene e manipolarla, come fanno tutti).Terrecotte,monili, legni, sassi, corde, foglie, reti, fiori; Rita Bagnoli si destreggiaabilmente con questi elementi- siano essi raccolti o imitati- a volte donandoloro una cromaticità così sapiente da renderli attraenti fino a far pensare cheappartengono esclusivamente ad un orizzonte artistico e perciò foriero di altredomande e questioni. Eppure rientrano a pieno titolo nelle osservazioniprecedenti. Perché c’è, aldilà di tutto, una sensazione unica, girovagandonello spazio occupato di questi lavori. Una sensazione di lavori che attendono– alcuni più esplicitamente- qualcosa che renda esplicito quel riempire ,svuotare, ricevere, dare che sostiene la loro forma . E’ come se si insinuassel’idea che abbiano bisogno di ricevere un nome, che sta sotto la patina dellostile. In certi momenti sembrano mute bellezze di un compito che tocca a noi.Qualcosa che le faccia assomigliare  aquelle croci lungo le pareti di una chiesa , che stanno a segnalare chel’edificio è stato consacrato. In qualchemodo credo che questi lavori vogliano dire proprio questo. A loro insaputa.                                                                                   Camillo  Ravasi
Il mio maestro
NANNI VALENTINI

/Una cosa credo di sentire con certezza: che,soggettivamente,
concepisco la materia come luogo di tutte le trasformazioni,di tutte lesimilitudini. Le forme sono le tracce, i segni tangibili diquestetrasformazioni.../  /Mi piace considerare la terra come luogo di una poesia, unluogo vuotoe perciò aperto al possibile, dove l'unico rischio è quellodell'impronta./
 
Dipingo per capire .E quando ho finito il mio lavoro, ilmondo è ancora irraggiungibile, forse ancora più di prima. E dunque occorre , ènecessario ricominciare. Fare arte , cioè capire , è un modo di afferrare ilmondo, di contenerlo e misurarlo, ma anche di esserne preso, contenuto emisurato. E’ l’unico modo per ricevere , accogliere e dunque soffrire: ildesiderio di raggiungere, di colmare la distanza tra sé e il mondo , tra sé el’altro, sta sempre insieme con l’ineliminabile dolore della distanza,dell’essere percosso sempre da questa distanza. Ma questo dramma, che èdell’arte, è innanzitutto della vita: è dialogo ininterrotto, sempre rinnovatotra un io e un tu, tra un io e le cose.